Hai mai pensato che i pesci provano dolore? Spesso vengono considerati creature “inferiori”, senza emozioni, senza empatia, quasi come se fossero insensibili alla sofferenza. Li immaginiamo lontani, silenziosi, incapaci di provare qualcosa di simile al dolore umano o animale. Ma la verità è ben diversa, e oggi la scienza ce lo conferma con sempre più chiarezza.
I pesci provano dolore, proprio come cani, gatti e altri animali che amiamo. Hanno un sistema nervoso complesso, reagiscono agli stimoli dolorosi, sviluppano stress, evitano esperienze negative e cercano conforto. Eppure, il modo in cui li trattiamo è spesso crudele e invisibile: dalle reti che li schiacciano alle ore passate a soffocare, fino agli allevamenti di pesci sovraffollati, in cui vivono in condizioni impensabili.
In questo articolo ti accompagno in una riflessione scomoda ma necessaria. Parleremo di cosa dice la scienza, di cosa succede realmente nell’industria della pesca, e di come possiamo fare la differenza, partendo dalla consapevolezza.
Se questo tema ti tocca, ti invito anche a leggere il mio articolo pilastro: Veganismo: cos’è e perché diventare vegani. È da qui che tutto può iniziare!

Cosa dice la scienza sul dolore nei pesci
Per tanto tempo abbiamo pensato che i pesci fossero creature “semplici”, incapaci di provare emozioni o dolore vero e proprio. Ma oggi, numerosi studi scientifici dimostrano che i pesci provano dolore in modo sorprendentemente simile ai mammiferi. Non si tratta più di opinioni, ma di fatti supportati da anni di ricerca.
I pesci hanno un sistema nervoso centrale, terminazioni nervose (nocicettori) e mostrano comportamenti complessi in risposta a stimoli dolorosi. Possono ricordare esperienze negative e cercare di evitarle in futuro, proprio come facciamo noi.
Uno degli studi più noti ha osservato il comportamento del pesce zebra, che dopo essere stato esposto a una sostanza dolorosa, ha modificato il suo comportamento in modo chiaro: si allontanava dallo stimolo e cercava rifugio. Quando gli è stato somministrato un analgesico, il suo comportamento è tornato normale. Questo esperimento ha confermato che non solo reagiscono, ma possono provare sofferenza reale.
Alcuni dati scientifici fondamentali:
- I pesci hanno recettori per il dolore simili a quelli di altri animali.
- Modificano il loro comportamento in risposta al dolore.
- Possono sviluppare stress cronico o post-traumatico, soprattutto negli allevamenti di pesci, dove sono costretti a vivere in ambienti estremamente stressanti.
Tutto questo ci porta a una semplice verità: la sofferenza dei pesci esiste, anche se non urla. E merita attenzione.

Cosa succede nei mari e negli allevamenti di pesci
Quando si parla di sofferenza degli animali, spesso ci si dimentica dei pesci. Eppure, milioni di loro vengono uccisi ogni giorno in modi che causano dolore, paura e agonia. Sì, i pesci provano dolore e quello che subiscono, sia nei mari che negli allevamenti, è tutto fuorché indolore.
Pesca industriale: la sofferenza invisibile
La pesca industriale utilizza enormi reti che trascinano centinaia di pesci per chilometri. Durante questo processo:
- Vengono soffocati lentamente fuori dall’acqua,
- Schiacciati vivi dal peso degli altri,
- Spesso muoiono senza stordimento, in una lenta agonia.
Il tutto accade lontano dagli occhi, ed è per questo che viene ignorato così facilmente.
Pesca accessoria: la strage silenziosa
Nel corso di questo saccheggio marino, un numero enorme di creature “non redditizie” viene trascinato via: pesci, tartarughe, delfini, uccelli marini e altri animali “pescati accidentalmente” finiscono ributtati nell’oceano, in gran parte morti o gravemente feriti. Quasi l’85% delle riserve mondiali di pesce sono state sfruttate al massimo o oltre. Se continuiamo così, entro il 2048 i nostri oceani potrebbero essere svuotati.
L’uccisione dei pesci: una morte lenta e crudele
I pesci pescati commercialmente vengono gettati in vasche dove muoiono lentamente, defecando e schiacciandosi a vicenda. Alcuni sopravvivono per giorni. Negli allevamenti di pesci, invece, vengono aspirati e trasportati alla macellazione.
Metodi usati:
- Elettrocuzione
- Stordimento con percussione
- Congelamento da vivi
- Asfissia
- Infilzamento con un chiodo nel cervello
Questi metodi, sebbene definiti “umanitari”, provocano una morte lenta e dolorosa.
Acquacoltura: i CAFOs degli animali marini
Quando pensiamo agli allevamenti intensivi, ci vengono in mente stalle affollate o capannoni pieni di polli. Ma lo stesso modello industriale è stato trasportato sott’acqua, dando vita all’acquacoltura, che potremmo definire a tutti gli effetti come i CAFOs (Concentrated Animal Feeding Operations) del mondo marino.
I pesci da allevamento crescono in impianti intensivi che possono trovarsi a terra (in ambienti chiusi e artificiali) oppure in mare, vicino alle coste. In entrambi i casi, vivono stipati in recinti sovraffollati, in cui lo spazio vitale è ridotto al minimo. Migliaia di individui condividono acqua contaminata da deiezioni, cibo non consumato, antibiotici e pesticidi, creando un terreno perfetto per lo sviluppo di parassiti e malattie.
Per tenere “sotto controllo” questo sistema malsano e mantenere alta la produzione, agli animali vengono somministrati farmaci, ormoni e sostanze chimiche. L’obiettivo non è la salute dei pesci, ma la resa economica.
Uno studio del 2017, condotto su salmoni allevati in Australia, Norvegia, Cile, Scozia e Canada, ha rivelato che circa la metà di questi pesci era sorda. Il motivo? I ritmi di crescita forzati, innaturali, alterano lo sviluppo dei ricettori uditivi, compromettendo la loro capacità di comunicare e percepire l’ambiente.
Tutto questo accade nell’ombra, ma non possiamo ignorarlo: i pesci provano dolore, anche se crescono lontano dai nostri occhi. Anche se non li sentiamo gridare.
Allevamento o guerra?
La pesca moderna non ha più nulla di “naturale” o “artigianale”. È una vera e propria operazione militare, messa in atto con tecnologie sofisticate sviluppate, in origine, per scopi bellici. Radar ad alta precisione, ecoscandagli per individuare i banchi di pesce nascosti, GPS satellitari e sistemi di localizzazione avanzati permettono alle flotte industriali di intercettare con estrema precisione ogni movimento della fauna marina.
A tutto questo si aggiungono i DCP (Dispositivi di Concentrazione dei Pesci): enormi zatteroni galleggianti, disseminati negli oceani, progettati per attrarre i pesci. Sono dotati di sensori intelligenti che trasmettono in tempo reale la posizione e la quantità di pesce presente a bordo dei pescherecci. Gli oceani sono diventati territori militarizzati, costantemente monitorati, e la pesca assomiglia sempre di più a una caccia spietata con armi invisibili.
E se pensi che la situazione sia migliore negli allevamenti intensivi di pesci, purtroppo ti sbagli. Anche lì, la logica è quella dello sfruttamento estremo:
- Animali ammassati in recinti ristretti, privi di stimoli naturali.
- Presenza costante di parassiti, infezioni e malattie.
- Mutilazioni sistematiche, come il taglio delle pinne o il becco per evitare che si feriscano a vicenda.
- Stress cronico che compromette il loro sistema immunitario e spesso li porta a morire prima ancora di essere pescati.
Tutto questo accade lontano dalla nostra vista, sotto la superficie dell’acqua, dove nessuno può sentire le grida. Eppure, proprio lì si consuma una delle più grandi ingiustizie contro gli animali.
La falsa promessa della “pesca sostenibile”
Spesso si pensa che acquistare “pesce sostenibile” sia una scelta etica. Ma la verità è che non esiste una pesca completamente priva di sofferenza. Le pratiche restano violente, impattanti e in moltissimi casi semplicemente non regolamentate.
Etichette e certificazioni servono a tranquillizzare i consumatori, non a tutelare i pesci.
I pesci provano dolore tanto quanto gli altri animali. Solo che non gridano. E per questo, da troppo tempo, la loro sofferenza passa inosservata.

“Ma i pesci non parlano” – le frasi che ci hanno fatto credere il contrario
“Ma i pesci non parlano, non li sentiamo urlare, quindi non soffrono”.
Questa è una delle frasi più ripetute – e più pericolose – quando si parla di animali marini. È un pensiero che nasce dalla mancanza di empatia, non dalla realtà. Eppure, solo perché non emettono suoni come i mammiferi, non significa che i pesci non provino dolore.
La verità è che fatichiamo a empatizzare con i pesci perché sono diversi da noi: vivono in un ambiente che non conosciamo, non hanno espressioni facciali che possiamo leggere, e il loro silenzio ci illude che siano insensibili. In più, la nostra cultura li ha sempre visti come “inferiori”: più simili a oggetti che ad esseri senzienti. Ma è solo una distanza emotiva, non biologica.
Come superare questo pregiudizio?
- Prova a guardare un pesce negli occhi: ha paura, cerca di fuggire, sente il dolore.
- Immagina di essere tirata fuori dall’acqua, di non poter respirare. Come ti sentiresti?
- Pensa a un cane o a un gatto che soffre: perché i pesci dovrebbero valere meno?
Coltivare questa empatia è il primo passo per riconoscere che la sofferenza dei pesci è reale, anche se non la vediamo nei modi a cui siamo abituati. E se i pesci provano dolore, abbiamo il dovere di includerli nella nostra riflessione etica.
Cosa possiamo fare noi per non contribuire alla sofferenza
Capire che i pesci provano dolore è solo il primo passo. Il secondo è chiederci: e io, cosa posso fare per non essere parte di questa sofferenza invisibile?
Non si tratta solo di dieta. Scegliere di non mangiare pesce non è una rinuncia, ma un atto di giustizia verso creature che non hanno voce, ma che sentono eccome. È una scelta di empatia, di rispetto, di coerenza con i valori che già abbiamo: compassione, rispetto per la vita, sensibilità.
Scegliere un’alimentazione vegana è un modo pratico e potente per dire basta alla sofferenza dei pesci, sia quelli catturati nei mari sia quelli chiusi negli allevamenti intensivi di pesci, invisibili ma realissimi.
Idee pratiche per iniziare subito:
- Prova ricette alternative al pesce: “tonno” di ceci, tartare di anguria e alghe, tofu marinato con salsa di soia e limone.
- Guarda documentari come Seaspiracy o leggi testimonianze reali sulla vita marina.
- Condividi ciò che scopri con chi ti sta vicino: un articolo, un video, una tua riflessione. Parlare fa la differenza.
Ti consiglio questa raccolta di video per diventare vegani, utili se vuoi approfondire o condividere con chi ancora non sa.
Fare la propria parte non vuol dire essere perfetti, ma iniziare da una scelta consapevole. I pesci provano dolore. E tu puoi scegliere di non contribuire a questa sofferenza.
Conclusione – I pesci non urlano, ma soffrono. Ora lo sai.
I pesci provano dolore, ma nessuno li ascolta. Non hanno voce, non piangono, non gridano. E per questo è facile ignorarli. Ma la loro sofferenza è reale, e oggi tu la conosci.
Ora che sai cosa accade nei mari e negli allevamenti di pesci, ora che hai visto la verità nascosta dietro a un piatto apparentemente “normale”, puoi fare una scelta diversa. Non perfetta, ma più giusta. Una scelta che non alimenta la sofferenza dei pesci, una scelta che nasce dalla consapevolezza.
“Ora che conosci questa realtà, puoi scegliere di non voltarti dall’altra parte.
I pesci non hanno voce, ma tu puoi essere la loro.”
Vuoi approfondire o aiutare qualcuno a capire meglio questa scelta?
- Leggi 31 risposte vegan per superare ogni obiezione
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Ti è mai capitato di riflettere su questo tema?
Lascia un commento qui sotto: voglio conoscere la tua opinione, la tua esperienza, o anche i tuoi dubbi. Parlare di tutto questo è il primo passo per cambiare le cose!
Se vuoi approfondire ulteriormente questo tema, ti consiglio di leggere anche questa pagina di Animal Equality: troverai informazioni dettagliate e aggiornate sulla realtà della pesca e della sofferenza dei pesci.
Ogni piccolo passo parte dalla consapevolezza. E tu, oggi, ne hai fatto uno importante.
Se questo tema ti ha fatto riflettere, ti invito a leggere anche l’articolo dedicato al veganismo etico, per comprendere meglio le basi di una scelta che mette al centro il rispetto per tutti gli animali.
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